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A due giorni di distanza sono stati perpetrati due orribili atti. Nella redazione di Charlie Hebdo sono state assassinate persone di grande valore, quale che fosse la loro professione o la loro ragione di trovarsi lì. Uomini e donne eccellenti – che preferivano la disobbedienza alla lezione di purezza impartita da un qualsiasi credo religioso o patriottico – sono state ridotte al silenzio. In un supermercato casher, normali cittadini sono stati presi in ostaggio e uccisi. Tutto il nostro affetto e le nostre condoglianze vanno alle famiglie e agli amici di queste persone.
Questi atti sono ingiustificabili. Questa violenza, che porta il vessillo dell’integralismo, è intollerabile anche se viene a ricordarci tutti i difetti e le mancanze delle politiche di integrazione francesi. Riformare queste politiche, sentire l’arabo, ad esempio, negli altoparlanti della metropolitana come qualsiasi lingua europea è un compito essenziale. Ma non basterà a impedire che questi atti tornino a ripetersi.
La prima questione riguarda un fatto di pura e semplice resistenza, ovvero come proteggere dai rigurgiti neoliberali e polizieschi ciò a cui teniamo: la nostra stessa esistenza e quella delle persone a noi vicine, le nostre forme di vita, di collaborazione, di solidarietà.
La seconda riguarda invece più una scelta che una costrizione rispetto all’eredità lasciata da queste giornate: come poter ridere e scherzare ancora, come creare nuovi mondi da vivere senza doverci inginocchiare di fronte a un caporale o a un prete (dalla sottana, spesso, bianco-rosso-blu).
I proiettili che si sono abbattuti su questi due giorni non vengono dal nulla. La “barbarie”, la “follia omicida”, il “terorismo”, il “fanatismo jihadista” sono costruzioni di media portata, composte in realtà da abbandoni, rifiuti che hanno semplicemente trovato una legittimazione che prima mancava.
Il primo imperativo è quindi di identificare queste politiche distruttive, comprendere alcune tra le loro cause più profonde e distinguere le reazioni che contribuiscono ad alimentarle da quelle che aiutano a spegnerle – per far vivere al meglio il nostro desiderio di una vita pluralista e aperta. Per orientarci all’interno dello sgomento che ci ha colpiti oggi, noi proponiamo i cinque seguenti principi:
1 ) Respingiamo con forza qualsiasi discorso “di guerra”. Tutti coloro che fanno appello alla “guerra” contro il terrorismo non fanno altro che gettare benzina sul fuoco. Come hanno perfettamente dimostrato i diversi fallimenti dell’era Bush, ogni guerra al terrorismo non fa che nutrire il terrorismo stesso o comunque minare le buone ragioni per cui ci si batte contro di lui. Contro i proclami paralleli di chi chiama alla guerra “santa” o “repubblicana”, coltiviamo politiche di pace.
2 ) Rifiutiamoci di designare i nostri nemici: identifichiamo piuttosto dei veleni. Invece di nemici contro i quali combattere, indentifichiamo il veleno che spinge alcuni di noi a diventare nostri nemici. Neutralizzare questo veleno, comprenderlo e poi diffonderne l’antidoto farà la forza delle politiche di pace che ci permetteranno domani di scampare alle vendette di ieri.
3 ) Comprendiamo la potenza delle emozioni: cerchiamo le ragioni del cuore. Noi ci ritroviamo disgustati di fronte agli appelli alla vendetta per la strage di Charlie Hebdo tanto quanto lo siamo rispetto ai messaggi di giubilo per la realizzazione di una fatwa. Per quanto inquietanti siano, questi sentimenti sono comunque realtà da prendere in considerazione. Dobbiamo quindi cercare di coglierne le cause motrici. Anche se “irrazionali”, le emozioni altrui devono essere rispettate in quanto tali. Comprendere le loro ragioni, ridurne o eliminarne le cause, in particolare attraverso il sistema educativo e la condivisione delle conoscenze, è il solo modo per sventarne per sempre gli effetti devastanti!
4 ) Difendiamo la libertà: riconosciamola come inseparabile da un’uguaglianza che oggi come oggi non può che essere planetaria. Il veleno jihadista e i suoi succedanei integralisti devono essere trattati come sintomi di squilibri profondi, esacerbati dall’intensificazione parallela della comunicazione planetaria e delle ingiustizie locali. Noi desideriamo tutti difendere la libertà di pensiero, di espressione, di stampa, mediatica, ma anche e soprattutto la libertà di tutti i cittadini del mondo di ridere e gridare. Questo augurio resterà tuttavia vano e inefficace finche non arriverà ad articolarsi attraverso politiche di pace e la costruzione di nuovi sistemi di pensiero e di vita fondati sulla riduzione delle diseguaglianze; diseguaglianze economiche tra le diverse regioni di un mondo dalla comunicazione ormai fluidificata; diseguaglianze sociali tra i quartieri di metropoli ghettizzate; diseguaglianze di accesso alla visibilità e alla legittimità mediatiche.
5 ) Sappiamo che certi fuochi si nutrono degli sguardi che li alimentano: facciamo attenzione alla nostra stessa attenzione. Una delle particolarità delle nostre società mediatiche è costituita dal fatto che si strutturano intorno ad attrattori di attenzione di cui il “terrorismo” fornisce l’illustrazione più emblematica: ci sono atti “terroristici” perché/affinché i nostri media parlano/parlino di questi stessi atti “terroristici”.
Le politiche di pace devono portare a considerare la nostra attenzione come una risorsa troppo preziosa per lasciarsi risucchiare da questa dinamica di auto-consunzione. Diventiamo allora eretici della penna, della matita o perfino del legno, del cemento, del silicio, della pastella per le crêpes con gli occhi sfavillanti e curiosi verso ogni direzione.
Multitudes. Revue politique, artistique, philosophique
www.multitudes.net
Riceviamo da Yves Citton, nostro collaboratore, questo testo della rivista Multitudes, che volentieri pubblichiamo. Traduzione di Isabella Mattazzi.